15 ottobre 2010

SOLO RICORDI




  Sono cresciuta in una terra di 'ndrangheta, è così che la chiamano, non da una famiglia mafiosa, ma da una famiglia di origine contadina. Entrambe le famiglie dei miei genitori hanno sperimentato la dura vita di campagna, il lavoro che annerisce le mani, il fascismo e la seconda guerra mondiale, la fame e la prigionia in terre straniere. Entrambi i miei genitori sono nati subito dopo la guerra. Erano giovani di provincia durante il boom economico, hanno frequentato l'università durante il '68. Appena mio padre ha trovato un lavoro statale si sono sposati ed hanno avuto tre figli, nei quali ripongono le speranze di ascesa sociale della classe media. E questo spesso significa l'allontanamento dalla propria terra. La terra di 'ndrangheta, un territorio marginale e periferico, dove la mafia investe, ma investe poco e non crea benessere diffuso, ma succhia le risorse e avvelena la terra e fa notizia quando ci sono omicidi o sequestri 



La mafia non è un'organizzazione criminale. Ho sentito spesso questa frase e mi rendo conto sempre di più della veridicità di questa affermazione. La mafia non è solo una organizzazione criminale ma è un mondo di valori, di regole, di comportamenti posseduti, in varia misura, dalle persone che abitano nel territorio o che lì hanno vincoli familiari. Per quanto mi riguarda la mafia è presente innanzi tutto nei miei ricordi. Avevo 5 anni quando nel paese in cui si erano trasferiti i miei genitori, il mio paese, iniziò la faida tra le famiglie mafiose. Il copione è sempre lo stesso. Una famiglia si oppone al boss che controlla il paese, il capo della famiglia che si oppone viene ucciso, dopo per ritorsione viene ucciso il grande boss e scoppia una guerra per la successione. 


La guerra durò circa tre anni ma furono gli ultimi episodi che rimasero scolpiti nella mia memoria. Quello considerato il nuovo boss fu freddato con una 7 mm nella bottega di un barbiere. Sentivo i racconti e immaginavo la pelle marrone della sedia da barbiere sporca di sangue, ero molto incuriosita sulla dinamica dell'omicidio. Il giorno dopo vennero uccise altre 5 persone. Ricordo mio padre con la sua giacca di pelle marrone ritornare a casa dopo il tramonto. Avevamo già sentito che per errore era stata ferita una bambina che aveva circa la mia età e volevamo ulteriori spiegazioni. Dicevano che le era stato spappolato il fegato. Non credo che all'epoca avessi sentito e conoscessi il termine spappolare, né sapessi in che parte del mio corpo si trovasse il fegato e a cosa servisse. Però capì subito. Mi aiutarono il suono onomatopeico del verbo e il fegato di vari animali che i miei genitori mangiavano con mio profondo disgusto.


Mio padre parcheggiò la macchina nel garage polveroso, il suo arrivo fu annunciato dal suono del clacson dell'automobile che significava che dovevamo andare ad aprire la serranda. Lui disse poche parole, non voleva parlare davanti a noi, quindi dovetti dare sfogo alla mia immaginazione. Mi sistemavo davanti alla porta di casa e immaginavo come la bambina fosse stata colpita, immaginavo che al di là del legno smaltato ci fosse un killer con una mitragliatrice. Di casa era meglio non uscire troppo. A qualsiasi ora, tornando da scuola, andando la sera a fare un giro o in chiesa, potevi trovarti nell'imbarazzante posizione di testimone oculare.

Riuscì però a carpire alcune informazioni dai discorsi di mio padre. Era stato ucciso l'uomo che da anni ci portava le bombole del gas. Me lo ricordo bene, era un uomo pelato, con lunghi baffi neri. Mia nonna lo invitava sempre per un caffè. Lui era il padre di una mia compagna di classe. Dopo alcuni giorni lei tornò in classe, ma non faceva altro che piangere, in silenzio però. Si sedeva, nascondeva la testa tra le braccia appoggiate sul banco e piangeva. Soffriva ma allo stesso tempo si vergognava. Aveva già perso delle persone care durante la faida.

Nel pomeriggio intanto era avvenuto il più eclatante degli omicidi di quel venerdì nero. “Un sicario ha tagliato la testa a una delle vittime, lanciandola poi in aria per consentire al suo complice un barbaro tiro al volo con la lupara”. Lo hanno fatto uscire dalla sua bottega adiacente all'ufficio postale e lo hanno ucciso davanti agli occhi di tutti, una vendetta atroce.

A parte questo episodio ho dimenticato per anni la guerra di mafia, non mi interessava la mafia e per questo non esisteva. La faida è poi ritornata durante la mia adolescenza, quando un mio amico ha iniziato a raccontarmi quanto aveva influito per lui la perdita del padre per morte violenta.

Dopo pochi anni sono andata via. Allontanarmi dalla “mia terra di mafia” mi ha fatto dimenticare nuovamente la pressione. Ma ieri notte è stato ucciso un ragazzo di 18 anni a pochi metri dalla casa in cui sono cresciuta. 10 colpi di pistola, quasi tutti sparati in faccia. Non lo conoscevo ma era vicino a chi mi è vicino. Mi ha fatto tornare indietro nel tempo ai miei 20 anni, quando il fratello di una grande amica fu ucciso a seguito di un'intimidazione. In quell'occasione fu creato il vuoto attorno a lei. Nessuno si presentò al funerale perché avevano paura di essere ripresi dalle telecamere della polizia.

Non credo che la ndrangheta scomparirà quindi non termino questo post.


Ieri è stato ucciso un mio vecchio amico, un compagno di classe. Ammazzato da un 16enne per un debito di poche decine di euro. Quando finirà tutto questo?

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